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ANNUARIO

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RICCARDO MUTI:"SALVIAMO LE BANDE!" TREMILA COMPLESSI SONO IN CRISI E SENZA SOLDI. QUESTO E' UIHN VERO DELITTO CULTURALE.
Riportiamo la versione integrale dell'articolo di Valerio Cappelli apparso su "Il Corriere della Sera" del 27 marzo 2008. Il Maestro Riccardo Muti analizza la penosa situazione in cui si trovano i complessi bandistici italiani, li confronta con le associazioni bandistiche dei "paesi civili" e fornisce il suo punto di vista sulle possibili cause.
 

ROMA — È la banda il Panda della musica, l'«animale culturale» a rischio estinzione. Le storiche bande di paese, abbandonate dallo Stato, sono allo sbando e potrebbero chiudere. «Chiamiamo le cose come sono: è un delitto culturale», tuona Riccardo Muti. Il 14 giugno, per la prima volta nella sua carriera, al Ravenna Festival dirigerà una banda. Può sembrare una provocazione culturale, in realtà è un modo per richiamare l'attenzione su una realtà liquidata frettolosamente come un genere fuori moda. «Il mio vuole essere un omaggio alla crisi di tutte le bande d'Italia». Con lui risuoneranno gli squilli della banda di Delianuova, 80 ragazzi che suonano nella terra della 'ndrangheta, in provincia di Reggio Calabria; è il piccolo miracolo dell'Aspromonte, dove la musica non arriva. «Le bande rappresentano, per tante città del nostro paese, l'unica occasione di ascoltar musica, spesso gratuitamente». Muti aprirà e chiuderà il concerto, con le Sinfonie di Nabucco e Norma, «per sottolineare a chi di dovere l'importanza assoluta delle bande musicali».

«DIPENDONO DALL'ASSESSORE DI TURNO»
Ma le 3 mila bande italiane dipendono dalla sensibilità dell'assessore di turno. Servono soldi per l'acquisto degli strumenti, gli spostamenti, i locali per le prove, i corsi di formazione. «Non devono essere istituti assistenziali, chi è responsabile non può alzare le spalle con un vago sorriso ma ha l'obbligo di mantenere in vita queste compagini, dobbiamo dare uno stipendio a chi porta diletto e cultura in posti dove raggiungere un teatro è impossibile». Muti ha già ascoltato i ragazzi dell'Aspromonte quando andò con la sua Orchestra Cherubini a Reggio Calabria: «È un gruppo meraviglioso di strumenti a fiato con una disciplina artistica e umana straordinaria; hanno un portamento che sembrano usciti dai collegi più prestigiosi di Oxford; hanno passione e amore». Si ferma: «Hanno di-gni-tà». Il maestro ha passato la Pasqua a Molfetta, la sua città, dove ha seguito «le processioni del Sud, quelle dei Misteri, una tradizione centenaria sempre seguita dalle bande. Ho conosciuto fior di strumentisti, che venivano dalle bande ». Muti vuole sciogliere il nodo del disinteresse, il luogo comune delle marcette militari e delle fanfare: «Banda non è sinonimo di qualità inferiore, né di strumenti popolari e di bocca buona con cui ci si può arrangiare. Al contrario, sono strumenti nobili, pensate a Verdi quanto deve alle bande che ascoltava da ragazzo, e che lui usa per annunciare l'arrivo del re Duncano nel Macbeth». E in epoca moderna Stravinskij e Hindemith. «E prima ancora Bellini, Berlioz, Spontini che nel second'atto dell'Agnese di Hohenstaufen usa una banda enorme che fa la funzione dell'organo ed è uno dei momenti sublimi di quell'opera». Ha passato tante serate a sentire le bande, a Lanciano, a Francavilla, a Besana Brianza dove l'hanno fatto cittadino onorario: «Usano strumenti che non ci sono nelle orchestre, le oficleidi, i flicorni, i bombardini, la famiglia dei sassofoni, l'eufonio che sembra un bel nome antico ed è un corno tenore». Il grande impulso nel repertorio bandistico avvenne durante la Rivoluzione francese, si trattava di riempire la vita associata con nuovi rituali, odi e inni, non solo quelli chiesastici. «All'estero i paesi civili hanno bande meravigliose. I nostri ragazzi delle bande hanno studiato nei conservatori, non dal padre che ha il negozio da barbiere».

«TOTO' DIRETTORE MANCATO»
Maestro, ricorda Totò a colori, quando dirige la banda come un pupo siciliano? «Un grande attore, un poeta, l'autore di Malafemmena. In quel film fa un gesto musicale in forma di gioco, ma ogni gesto è di una tale precisione che non è solo a ridosso della musica, evoca il suono che sta per produrre. Se Totò avesse fatto il direttore d'orchestra, sarebbe stato uno dei più grandi del secolo. Sarebbe bene mostrare alle classi di direzione d'orchestra Totò che dirige la banda, non solo quando fa il tric trac e i mortaretti ma nei pizzicati, nei legati, negli staccati, per capire che una certa mimica è in diretto contatto con la musica».

La missione possibile di Muti a Ravenna: ridare nobiltà al repertorio bandistico.

Valerio Cappelli
27 Marzo 2008